Lesbismo ed omosessualità: cosa dice la psicologia

Oggi più che mai, gli studi che ruotano attorno all’orientamento sessuale sono sempre più attenti alle molteplici sfumature del caso. Parliamo, infatti, di psicologia del lesbismo e di psicologia dell’omosessualità, anche se forse sarebbe più corretto definire il tutto come psicologia LGTB. 

Affiancato da un politically correct sempre più accentuato ma non sempre necessario, vi è una spiccata tendenza a considerare in maniera quasi maniacale le varie sfumature dell’identità sessuale e dell’orientamento sessuale, anche ricorrendo ai neologismi grammaticali come “ragazz*” oppure “tutt*”, assai usati sui social. 

Ma, al di là delle forzature, una revisione della psicologia legata all’ambito lesbo e omo era davvero necessaria e, per fortuna, la letteratura sta andando nella direzione giusta. 

Proprio di ciò vogliamo parlare in questo approfondimento, discutendo assieme de:

  • Una forma d’essere: la psicologia del lesbismo e dell’omosessualità
    • Gay: vietato incontrarsi in pubblico
    • Come si diventa gay o lesbiche?
    • È una malattia o un disturbo mentale?
  • Fare coming out, una scelta spesso sofferta

Una forma d’essere: la psicologia del lesbismo e dell’omosessualità

L’orientamento sessuale viene definito dall’American Psychological Association come “un modello stabile di attrazione emotiva, romantica e/o sessuale verso gli uomini, le donne, o entrambi i sessi”. 

Tale definizione è assai importante, perché prendere in considerazione non solo l’aspetto sessuale di una potenziale relazione, ma anche l’attrazione emotiva e romantica che, erroneamente, sono state appannaggio solo dell’orientamento sessuale etero.

Il pregiudizio che ha da sempre (o quasi) ruotato intorno all’omosessualità ha fatto sì che il soggetto gay venga classificato come qualcuno interessato solo ed esclusivamente all’aspetto sessuale di una relazione, trascurando le emozioni fondamentali che legano le persone, come l’affetto, l’amore e così via. 

Gay: vietato incontrarsi in pubblico

Ancora oggi, in molte realtà, gay e lesbiche sono costretti a nascondersi, a celare il proprio io per evitare ripercussioni sociali o addirittura penali (in alcuni Stati). 

A ciò si associa anche la necessità di alcuni soggetti di rimanere nell’ombra, per i motivi più vari: in questi casi, c’è una sorta di divieto auto imposto. 

In entrambe le situazioni, però, il web ha rappresentato una sorta di Eden dove potersi esprimere liberamente e comunicare con altre persone con le medesime necessità, paure ed orientamento sessuale. 

Sono così nate fiorenti community, delle vere e proprie piazze virtuali dove i soggetti si sentono al sicuro e possono esprimere se stessi in piena libertà, senza paura, né pregiudizio alcuno. 

A ciò si sono affiancati i siti di incontro specializzati per esempio per le lesbiche la chat https://chatlesboitalia.com, mirati proprio a favorire la connessione fra le persone ed agevolare gli appuntamenti dal vivo oppure dedicata ai gay uomini come www.incontrigay.net

Di fatto, il web è stato – e lo è ancora – un volano essenziale e quanto mai fondamentale per consentire ai soggetti interessati di sentirsi non più isolati, stigmatizzati o timorosi, ma parte di un enorme comunità sempre più pronta ad affermare i propri diritti. 

Come si diventa gay o lesbiche?

L’impostazione di tale domanda è già di per sé errata: non di diventa gay o lesbiche, lo si è. 

In passato, la psicologia del lesbismo e la psicologia dell’omosessualità hanno vissuto fasi in cui effettivamente si definiva l’orientamento sessuale come una conseguenza di fattori ambientali e condizionamenti psicologici. 

Oggi tali impostazioni sono superate, in quanto è stato dimostrato da studi recenti l’orientamento sessuale viene programmato dal cervello del feto in maniera autonoma, non per scelta, ma condizionato da fattori prenatali, genetici ed epigenetici. 

Inoltre, i geni contribuiscono al comportamento sessuale del soggetto in un range compreso fra l’8 ed il 25%: una percentuale davvero considerevole.

Ad affermarlo è uno studio pubblicato su Science nel 2019, ripreso dal Sole 24 Ore in relazione alla discussione del libro di Jacques Balthazart pubblicato nel 2010, ma che già dimostrava ampiamente come non si diventi gay, ma si nasca. 

Differente, invece, è il concetto di consapevolezza personale. 

In genere, è nella media infanzia o nella prima adolescenza che si hanno le prime pulsioni sessuali e affettive: basti pensare ai classici innamoramenti fra i banchi di scuola. Poi, c’è la fase dell’esplorazione, che consente di sperimentare e di conoscere una nuova parte di sé e della vita. 

Non sempre, però, il soggetto accetta la propria omosessualità e ciò per una serie di motivi differenti, che gli impediscono di esprimersi appieno. Così, mentre qualcuno ancor prima di sperimentare sa già cosa desidera, per altri la consapevolezza piena e la successiva accettazione avvengono più tardi, se non addirittura mai. 

Ciò provoca un grande disagio nel soggetto, causato dall’impossibilità di essere pienamente se stesso, in tutte le sfaccettature contemplate.

È una malattia o un disturbo mentale?

Assolutamente no, nessuna delle due. 

Anche qui, per giungere a tale conclusione è stato necessario aspettare decenni. Oggi si è ampiamente concordi nel definire l’omosessualità come una “variante non patologica del comportamento sessuale”, ma siamo dovuti arrivare ad una manciata di anni fa per avere una definizione del genere. 

Nel 1973 l’American Psychiatric Association (APA) decise di rimuovere l’omessualità ed il lesbismo dalla lista delle patologie mentali presente nel DSM, ovvero nel Manuale Diagnostico delle Malattie Mentali, punto di riferimento dell’intera comunità scientifica. 

Nella prima edizione del DSM, l’omosessualità era dichiarata quale “un disturbo sociopatico della personalità”. Nella seconda edizione, invece, si fece un piccolo passo in avanti: nel 1968 veniva definita come una deviazione sessuale, ovvero una parafilia. Qui, però, c’è una distinzione fra quella che veniva chiamata omosessualità ego sintotica ed omosessualità ego distonica, suddivise sulla base dell’accettazione personale del proprio orientamento sessuale.  

Di fatto, l’omosessualità ego distonica, ovvero non pienamente accettata in serenità dal soggetto, restò fra i distrubi della personalità fino al 1987. 

Bisogna arrivare addirittura agli Anni 90 per vedere cancellata l’omosessualità dal DSM, più precisamente nel 1994, anche se la decisione definitiva in merito era stata presa già nel 1990. Intanto, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva provveduto a depennare l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. 

Fare coming out, una scelta spesso sofferta

Fare coming out, nonostante i tempi siano cambiati, può essere ancora molto difficile. 

Spesso, pur comprendendo la propria dimensione sessuale ed affettiva, non si è capaci di affrontare uno svelamento completo della propria personalità. Le remore possono essere molteplici, come quella di venire emarginati dalla propria famiglia o avere ripercussioni sul lavoro. 

Inoltre, bisogna considerare che molte persone che non sono riuscite ad accettarsi fin da subito, magari hanno indossato le falsi vesti dell’eterosessualità, probabilmente anche sposandosi ed avendo figli. È comprensibile che, in tali situazioni, un coming out avrebbe ripercussioni decisamente considerevoli, che coinvolgerebbero molte persone. 

Secondo la psicologia del lebismo e la psicologia dell’omosessualità, in relazione al coming out possiamo dire che si tratta di un vero e proprio percorso di consapevolezza, che parte prima da se stessi, com’è facile immaginare. È necessario costruire una propria dimensione comportamentale, cognitiva ed emotiva per fare outing, per affermarsi come individui nuovi e tenere fermamente salde le redini delle proprie scelte e, in prospettiva, del proprio destino.

Una volta percorse queste necessarie e fondamentali tappe, si passa a quello che potremmo definire il coming out “esterno”, ovvero quello familiare, lavorativo e sociale.

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